Dove nasce la malattia democratica – Europa Quotidiano
24 Aprile 2013I rischi che il Pd poteva correre li conoscevamo già quando l’avventura è cominciata.
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I rischi che il Pd poteva correre li conoscevamo perfettamente quando l’avventura è cominciata. Nel 2006, il rischio campeggiava nei titoli di giornale come “fusione a freddo”. Ovvero, l’assemblaggio di correnti, la giustapposizione di antichi simboli sotto una nuova bandiera non ancora screditata che consentisse a buona parte del ceto politico di centrosinistra di ripararsi dal biasimo già allora crescente e di riciclarsi. L’antidoto poteva venire dal principio classico “una testa un voto”. Che diventò per qualche mese lo slogan alternativo. Non era una scoperta da premio Nobel, ma inquietava lo stesso l’establishment. Quando fu pronunciato per la prima volta, nel contesto del processo costituente Pd, fece sobbalzare D’Alema, De Mita, Marini e parecchi altri.
L’idea era semplice. Per evitare il riciclaggio gattopardesco, una fusione fatta per congelare l’esistente, il Pd doveva nascere aprendosi a tutti i suoi elettori, sbaraccando le tribù precostruite, i patti di sindacato basati su pacchetti figurativi di consenso e le quote da garantire di conseguenza a ciascun capo-corrente, consentendo ai cittadini di scegliere e ai leader più credibili di dare al nuovo partito una direzione. Le “primarie” fatte per eleggere il leader, dovevano essere un autentico confronto tra visioni diverse del medesimo progetto, invece che un atto liturgico di consacrazione.
Prevalse l’idea che all’inizio di questa nuova storia non ci si potesse dividere. Veltroni ci fece sperare per qualche mese che la domanda di unità della base e la bontà della narrazione sarebbero bastate a cementare l’impasto. Sappiamo come è andata. Le divisioni sono iniziate il giorno dopo le elezioni del 2008 e si sono poi moltiplicate a ogni passaggio. I capicorrente sono stati tutti garantiti secondo le solite quote, marginalmente ri-negoziate nel tempo. Dal 2009, con la vittoria di Bersani, si è poi pienamente inverato l’altro rischio noto a tutti, nel peggiore dei modi. Quello che nei titoli dell’intero decennio precedente alla fondazione del Pd passava come la sindrome della “quercia e dei cespugli”.
La confusione pareva troppa, al D’Alema senza incarichi dell’estate 2008. Al punto che pensò di rompere la tradizione e schierare in prima fila il partito emiliano, che già scaldava i muscoli per conto suo. Da allora, il gruppo dirigente Pd è diventato la somma tra una ditta di organizzatori senza talento, senza una bussola strategica, e correnti personali acchiappa posti. Che si sono garantite reciprocamente, grazie a una scientifica divisione dei ruoli. La macchina e i vertici del partito quasi esclusivamente ai primi, con le seconde generosamente sovra rappresentate negli incarichi parlamentari o di nomina politica. Gli uni e gli altri aggrappati per legittimarsi a residui ideologici del novecento: antichi riflessi identitari da zoccolo duro, la rivendicazione dello spazio dovuto ai “cattolici democratici”.
Se il Pd vuole rinascere, deve semplicemente azzerare tutto questo. Ricominciare da capo. Qualcuno ha detto efficacemente che bisogna resettarlo. Se non vogliamo che rimanga una carcassa da mandare al macero, va riavviato il sistema operativo dopo aver fatto girare un potente antivirus. Dobbiamo ripartire, con leader e buone idee per l’Italia, dal punto in cui abbiamo cominciato, questa volta con il piede giusto. Non dalle foto di gruppo e da un congresso finto, liturgia di investitura del Renzi “candidato di tutti” o di un segretario scelto per ora come sua ombra, all’ombra del quale continuerebbero a sopravvivere tutti gli attuali vizi.
Matteo proponga un progetto intessuto da principi guida e riforme concrete, senza reticenze, senza accordi preventivi, a viso aperto, proprio come ha fatto finora. Provi a costruirci intorno un pezzo di classe dirigente degna di questo nome. Fassina, Civati, Orlando, se non sono d’accordo, facciano altrettanto. Se saranno ciascuno a loro modo credibili, nel confronto, non ci saranno scissioni. Di fronte ad un confronto vero, vitale, leale, aperto, messo in moto da chi ha idee ed energia, i cespugli secchi deperiranno. E la pianta democratica rinascerà.
@Vassallo1965