Il doppio no di Bersani al Cav. che chiuse la grande trattativa – Italia – l’Unità – notizie online lavoro, recensioni, cinema, musica

4 Novembre 2013 0 Di macwalt

unita.it – Il doppio no di Bersani al Cav. che chiuse la grande trattativa

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La verità è che nemmeno nell’incontro col Pdl Bersani riscontra opposizioni rispetto alla legittimità del suo tentativo di formare un governo. Anzi, il centrodestra ritiene che spetti a lui e a nessun altro insediarsi a Palazzo Chigi. Non ci sono obiezioni, interpretazioni del risultato elettorale che giustifichino pareri diversi; ci sono solo due condizioni.

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Dice Bersani: «Berlusconi aveva chiaro molto più di tanti osservatori quale era stato il risultato elettorale. Sapeva benissimo quello su cui i numeri non lasciavano alcun dubbio, cioè di essere arrivato terzo. Sapeva che, al di là della propaganda, la famosa “rimonta” è stata nient’altro che un effetto ottico: un rimbalzo che ha avvicinato Pd e Pdl ma che è dovuto al fatto che il Movimento 5 Stelle ha tolto voti al Pd.

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Gli uomini del Pdl avevano capito molto bene di aver perso le elezioni, anche se certo non gli è dispiaciuto che tanti dei nostri enfatizzassero l’idea che le avevamo perse noi. Questo infatti ha rafforzato la loro vera battaglia, che nelle condizioni date aveva due obiettivi: ottenere la presidenza della Repubblica, o in subordine ottenere un governo di larghe intese. Noi purtroppo, con le nostre scelte successive, gli abbiamo consentito di portare a casa il secondo obiettivo e di lasciare per così dire in sospeso il primo». «Noi», cioè il Pd. Ma non Bersani, che da premier incaricato aveva risposto no su entrambi i fronti. Naturalmente Berlusconi, noblesse oblige, alle consultazioni manda Alfano. (…) Bersani fa il solito cappello introduttivo, dichiara la sua intenzione, considerato il risultato elettorale, di cercare tra le forze politiche «il più alto grado di corresponsabilità che possa risultare credibile agli occhi del Paese».

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Significa, spiega, che un governo che veda insieme Pd e Pdl non sarebbe, a suo giudizio, una giusta interpretazione delle scelte degli elettori e apparirebbe una soluzione «politicista» e inadeguata alla richiesta di cambiamento. Al centrodestra Bersani propone dunque un «doppio binario»: da una parte, una comune assunzione di responsabilità e un reciproco riconoscimento tra tutte le forze politiche per dar vita a una convenzione costituzionale che consegni alle Camere, in tempi certi, un progetto di riforma istituzionale ed eventualmente della legge elettorale.
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Alfano dà atto al Pd e al suo segretario della coerenza della proposta, ma ritiene difficile da giustificare di fronte al suo elettorato un via libera al governo guidato da Bersani. Diverso sarebbe, ecco il punto, se Bersani fosse disponibile a governare insieme al centrodestra: in quel caso il sostegno al leader elettorale del centrosinistra non incontrerebbe alcun ostacolo. O in alternativa, le cose potrebbero cambiare se Bersani fosse disposto a condividere fin da subito un accordo sul nome del prossimo presidente della Repubblica: scelto nel campo del centrodestra, s’intende. Nomi nel colloquio ufficiale non ne vengono pronunciati, ma Bersani sa bene che quello che ha in mente Berlusconi è uno solo, ed è quello di Gianni Letta. (…) Bersani ribatte che il governo di larghe intese favorirebbe il dilagare del consenso alle proposte più populiste.

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Inoltre, afferma che uno scambio Pd-Pdl tra presidenza del Consiglio e presidenza della Repubblica sarebbe semplicemente «non presentabile» all’opinione pubblica. Diverso è dire che le istituzioni appartengono a tutti e che è quindi necessario condividere la scelta dei vertici. (…) Alle 19.49 sulle agenzie esce una dichiarazione di Alfano. È l’ultimo appello: «Bersani si trova nel vicolo cieco in cui si è infilato. Sta a lui, ora, rovesciare la situazione, se vuole e può». Alle 20.12, l’Ansa batte una notizia di tre righe, una dichiarazione anonima che facciamo filtrare come “fonti del Nazareno”: «Se il Pdl vuole una trattativa sul Quirinale, noi non ci stiamo».

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La mattina dopo nella Sala del cavaliere sono attese le delegazioni dei partiti della coalizione Italia bene comune. Siamo tra amici, il tentativo di formare il governo è sostanzialmente già saltato, si parla ormai di quello che succederà dopo. Bruno Tabacci e Giovanni Maria Flick, nell’incontro con il Centro democratico, fanno questa analisi: nessun governo può nascere in questa situazione parlamentare, finché non ci sarà un presidente della Repubblica con i pieni poteri, in particolare quello di scioglimento.

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Lasciano intendere che sarebbero opportune le dimissioni anticipate di Napolitano in modo che sia il suo successore a concludere la vicenda. Non sembra essere una critica al presidente in carica, che anzi tutti si dicono pronti a rieleggere, se solo volesse. Si parlerà a lungo di questo scenario nei giorni successivi, ma poi Napolitano deciderà diversamente: niente dimissioni anticipate, saranno nominati i “saggi” e l’incarico di Bersani resterà questione nelle mani del suo successore.

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Infine arrivano Roberto Speranza e Luigi Zanda. Il giovanissimo capogruppo alla Camera, alla fine del colloquio, quando è già in piedi per uscire, prende da parte il segretario e gli dice, a voce bassissima: «Fallo tu Pier Luigi il governo di larghe intese. Sarà più facile da gestire con la nostra gente. E poi sono in tanti, anche i più vicini a noi, che mi chiamano per dirmi di chiedertelo…». Il presidente incaricato gli mette un braccio sulla spalla. E gli dice che pensa ancora che il governissimo si possa evitare. E comunque la sua risposta a questa richiesta è ancora una volta quella di sempre: «No». –   dStefano Di Traglia e Chiara Geloni

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