La più classica delle operazioni di Palazzo, dai vantaggi molteplici per gli uni e gli altri: ritagliarsi uno spazio al centro e avere così più forza contrattuale rispetto ad Angelino Alfano (a un soffio, coi suoi 31 deputati), proporsi come gli alleati davvero fidati di Renzi (al contrario di Ncd, che negli enti locali spesso è col centrodestra), ricevere più contributi da Montecitorio e soprattutto sancire definitivamente l’ingresso di Denis Verdini in maggioranza. Col Pd che a quel punto non avrebbe più motivi d’imbarazzo, visto che sarebbe un altro partito a traghettarlo ufficialmente nell’area del sostegno al governo. Circostanza che induce a pensare che, se non abbia l’avallo ufficiale, la manovra quanto meno non sia vista affatto con sfavore a Palazzo Chigi.
Artefici del piano, il viceministro Enrico Zanetti e Denis Verdini che, stanco di restare a metà del guado come disconosciuta stampella del governo, ha tessuto la tela in prima persona, chiamando personalmente alcuni dei parlamentari montiani più scettici. Alla Camera nei giorni scorsi, confermano più fonti all’Espresso, la fusione era data per già fatta. C’era anche una indicazione sulla data, assai ravvicinata: subito dopo il turno di ballottaggio delle amministrative. Una tempistica non casuale: Ala vuole passare all’incasso dopo l’appoggio ufficiale fornito al centrosinistra a Napoli, Cosenza, Grosseto e Caserta. Sebbene i tempi sembrino adesso destinati a slittare, se i verdiniani risulteranno decisivi o dimostreranno comunque di essere in grado di portare abbastanza acqua al mulino renziano (come già avvenuto con le regionali in Campania), l’operazione potrebbe avere la strada spianata. E una volta in maggioranza alla Camera, lo stesso copione si potrebbe ripetere pure al Senato, dove i 20 uomini di Denis, che il gruppo ce l’hanno già, sono davvero determinanti.
La questione è anche economica: le Camere erogano contributi ai gruppi parlamentari in base alla consistenza, circa 50 mila euro l’anno per ogni deputato. Dunque l’arrivo dei 10 verdiniani dal gruppo Misto vale mezzo milione. Sempre se qualcuno non si metterà di traverso. Già, perché in questa manovra non tutto rischia di filare liscio come vorrebbero gli ideatori. A quanto risulta all’Espresso, infatti, una gran parte dei deputati di Scelta civica vedono come il fumo agli occhi la fusione, decisa dal vertice e neppure comunicata a molti parlamentari. E una dozzina potrebbe decidere di andare via se dalle parole si passasse ai fatti: l’ala “confindustriale” (l’ex presidente Alberto Bombassei, montiano di ferro, e Adriana Galgano) ha già reso noto che non ne vuole sapere e nel fronte del “no” vanno annoverati anche la campionessa olimpica Valentina Vezzali (che da tempo guarda al Pd), l’imprenditore antimafia Andrea Vecchio, l’ex forzista Gianfranco Librandi in rotta col segretario, il vicecapogruppo Bruno Molea a capo dei ribelli e la corrente interna dei Riformatori (il costruttore Salvatore Matarrese, il magistrato Stefano Dambuoroso e il radiologo Pierpaolo Vargiu).
Se facessero fronte comune e andassero alla conta, i contrari potrebbero avere i numeri per bloccare l’operazione, visto che fra i favorevoli ci sono principalmente i “governisti”, deputati con un ruolo istituzionale o nell’esecutivo: oltre a Zanetti, il sottosegretario ai Beni culturali Antimo Cesaro, il presidente della commissione Affari costituzionali Andrea Mazziotti Di Celso (seppure senza troppa convinzione), il capogruppo Giovanni Monchiero, il nuovo tesoriere Giulio Cesare Sottanelli. E da ultimo, il segretario d’aula Mariano Rabino, già vicino a Luca Cordero di Montezemolo e adesso il più entusiasta sostenitore della fusione con Verdini.
Del resto non sarebbe la prima volta che gli inflessibili rigoristi montiani, che dovevano portare in Parlamento l’austero verbo del Professore, danno una mano al leader di Ala: nella legge di stabilità fu infilato, col parere negativo dell’Agenzia delle entrate, un emendamento che accorcia i termini di prescrizione degli accertamenti fiscali . «Un importante successo politico di Scelta civica» lo definì Zanetti, che ne rivendicò il merito , ma che assomiglia tanto a una legge ad personam: quella modifica appena un mese fa ha consentito a Verdini di risparmiare 5 milioni chiesti dal fisco relativamente alle attività editoriali per le quali è sotto processo per truffa ai danni dello Stato. Sarà un caso ma il primo firmatario era proprio Rabino.