Istat: tornano investimenti e crescita «persistente ma a bassa intensità», resta l’allarme povertà – ilsole24ore.com
21 Maggio 2016ilsole24ore.com – Istat: tornano investimenti e crescita «persistente ma a bassa intensità», resta l’allarme povertà – –di Vittorio Nuti
Spiragli positivi per l’economia italiana. Negli ultimi mesi, gli indicatori dell’attività economica hanno mostrato «qualche segnale incoraggiante, seppure in un contesto di incertezza». A fare il bilancio di una ripartenza al momento solo accennata è il Rapporto annuale Istat 2016 sulla situazione del Paese, presentato questa mattina alla Sala della Regina di Montecitorio alla presenza del capo dello Stato, Sergio Mattarella.
L’allegato Il rapporto annuale Istat
Alleva: con crisi emerse criticità sistema redistributivo e produttivo
Dopo una recessione «lunga e profonda, senza più termini di paragone nella storia in cui l’Istat è stato testimone in questi 90 anni», l’Italia sperimenta «un primo, importante, momento di crescita persistente anche se a bassa intensità», ha spiegato il presidente dell’Istat Giorgio Alleva: «Rispetto ai precedenti episodi di espansione ciclica la ripresa produttiva appare caratterizzata da una maggiore fragilità». Per Alleva la lunga crisi di questi anni ha fatto emergere «alcune criticità relative all’efficacia del sistema redistributivo e alla tenuta del sistema produttivo».
Non mancano però gli «elementi positivi», come la «maggiora sostenibilità del debito pubblico, la capacità competitiva sui mercati esteri, il miglioramento delle condizioni degli anziani» e le principali strategie che hanno «confermato la loro importanza, prime fra tutte il ruolo protettivo del capitale umano per i singoli individui e più in generale gli investimenti come chiave della ripresa».
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Fatturato industria in leggera ripresa
In questo scenario che alterna indicatori in positivo ad altri che stentano a riprendere la strada della crescita a far ben sperare è il fatturato dell’industria, che – si legge nel Rapporto – «ha segnato un incremento congiunturale positivo sia a gennaio sia a febbraio (+0,9 e +0,1 per cento (…) grazie alla vivacità dei beni strumentali (+2,5 per cento in febbraio) e dei beni intermedi (+1,2 per cento). Indizi di una possibile ripresa dopo gli anni della grande crisi arrivano anche dagli ordinativi dell’industria+0,7% a febbraio «grazie alla dinamica favorevole registrata dalla componente interna (+1,6 per cento)».
L’indice della produzione industriale ha poi registrato «un sensibile aumento in gennaio (+1,7 per cento rispetto al livello di fine 2015), cui è seguito un calo contenuto (-0,6 per cento) in febbraio». Qualche segnale di ripresa giunge anche dal settore delle costruzioni: «a febbraio l’indice registra un incremento dello 0,3 per cento; nella media degli ultimi tre mesi il volume della produzione è aumentato dello 0,6 per cento».
Montecitorio- il Presidente Mattarella al rapporto annuale ISTAT
Fiducia imprese, andamento stop and go da inizio 2016
Che la ripresa sia «fragile», come ha sottolineato Alleva nel suo intervento di illustrazione del Rapporto Istat, lo si capisce anche dal dato – contraddittorio – relativo alla fiducia delle imprese registrato dall’inizio del 2016, che evidenzia un certo peggioramento delle attese degli imprenditori. Nei primi mesi dell’anno in corso, gli indicatori congiunturali qualitativi hanno mostrato infatti «ulteriori segnali di debolezza, a prosecuzione della flessione che ha interessato tutti i comparti, a eccezione dei servizi, nell’ultimo trimestre del 2015», si legge nel rapporto.
In aprile tuttavia «l’indicatore del clima di fiducia degli imprenditori (Istat economic sentiment indicator, Iesi) ha recuperato oltre due punti rispetto al mese precedente, trainato dal deciso aumento della fiducia nei servizi di mercato e nelle costruzioni, cui si è accompagnato un aumento, seppur contenuto, nella manifattura; per contro il commercio al dettaglio ha segnato un ulteriore calo dopo la flessione in marzo».
Welfare, Italia tra i paesi «meno efficaci», solo la Grecia peggio di noi
Il sistema di protezione sociale italiano è tra quelli europei «uno dei meno efficaci». La sostanziale bocciatura del nostro welfare compare nelle pagine del Rapporto annuale Istat 2016 dedicate alla spesa sociale e previdenziale. Sotto accusa in particolare la spesa pensionistica, che «comprime il resto dei trasferimenti sociali», aumentando il rischio povertà. Nel 2014 il tasso delle persone a rischio si riduceva dopo il trasferimenti di 5,3 punti (dal 24,7% al 19,4%) a fronte di una riduzione media nella Ue di 8,9 punti. Solo in Grecia il sistema di aiuti è meno efficiente che in Italia.
Alleva: instabilità e precarietà causa di svantaggi distributivi
In altre parole, l’Italia non fa abbastanza per proteggere le persone dal rischio di cadere in povertà: il sistema di trasferimenti italiano (escluse le pensioni) non sembra infatti in grado di contrastare la dinamica di costante impoverimento. «La crescente vulnerabilità dei minori – ha sottolineato Alleva – è legata alle difficoltà dei genitori a sostenere il peso economico della prima fase del ciclo di vita familiare, a seguito del progressivo deteriorarsi delle condizioni del mercato del lavoro.
Instabilità e precarietà lavorativa, che riguardano principalmente i giovani e le donne, sono tra i fattori che generano i maggiori svantaggi distributivi».
Tra il 1990 e il 2010 disuguaglianze di reddito in crescita
In Italia, sottolinea ancora l’Istat, la disuguaglianza nella distribuzione del reddito (misurata attraverso l’indice di Gini sui redditi individuali lordi da lavoro) è aumentata da 0,40 a 0,51 tra il 1990 e il 2010; si tratta dell’incremento più alto tra i paesi per i quali sono disponibili i dati. Il reddito familiare è un fattore determinante.
Il vantaggio degli individui con status di partenza “alto” (ossia che a 14 anni vivevano in casa di proprietà e che avevano almeno un genitore con istruzione universitaria e professione manageriale), rispetto agli individui che invece provenivano da famiglie di status “basso” (ossia con genitori al più con istruzione e professione di livello basso e con casa in affitto) è più basso in Francia (37%) e in Danimarca (39%), mentre è molto forte nel Regno Unito (79%), in Italia (63%) e Spagna (51%).
L’Analisi Lavoro, subito la fase 2 del Jobs act
Jobs Act, forte appeal soprattutto nelle Pmi
Uno dei capitoli del Rapporto annuale presentato oggi riguarda il mercato del lavoro, segnato negli ultimi anni di molteplici interventi normativi finalizzati al suo snellimento. Da un’analisi sull’utilizzo del contratto a tutele crescenti l’Istat evidenzia come la probabilità che i nuovi contratti a tempo indeterminato coinvolgano interamente nuovo personale dipendente (escludendo le trasformazioni di precedenti contratti a termine) sia più elevata per le imprese di minori dimensioni: si attesta infatti al 39,8% nel caso delle piccole (meno di 50 addetti), al 28,9% nel caso delle medie (50-249 addetti) e scende al 21,4% fra le grandi (almeno 250 addetti).
Al contrario, la probabilità che i nuovi contratti a tempo determinato siano esclusivamente trasformazioni di precedenti contratti a termine risulta pari al 19,6% per le piccole imprese, al 22,1% per le medie e al 25,6% nel caso delle grandi. Per le imprese di minore dimensione, il contratto a tutele crescenti sembra abbia stimolato nuova occupazione soprattutto in quelle realtà che in precedenza non avevano aumentato il personale dipendente.
L’effetto più ampio è inoltre legato all’eventualità che i nuovi contratti a tempo indeterminato coinvolgano solo nuovi lavoratori. Nel caso delle medie e grandi imprese, invece, il contratto a tutele crescenti accompagna una fase di rafforzamento, più che di avvio, di un percorso di crescita occupazionale. Anche le situazioni in cui i nuovi contratti a tempo indeterminato si riferiscono tutti a nuovi lavoratori sono più probabili per le unita’ già in crescita.
Minori, il 19% vive in stato di povertà relativa
Il Rapporto Istat evidenzia in modo drammatico anche la situazione dei minori in stato di povertà, che hanno pagato il prezzo più elevato della crisi scontando un peggioramento della loro condizione relativa anche rispetto alle generazioni precedenti. L’incidenza di povertà relativa per i minori, che tra il 1997 e il 2011 aveva oscillato su valori attorno all’11-12%, ha raggiunto il 19% nel 2014. Al contrario, tra gli anziani, che nel 1997 presentavano un’incidenza di povertà di oltre 5% superiore a quella dei minori, si registra un progressivo miglioramento che è proseguito fino al 2014 quando l’incidenza tra gli anziani è di 10 punti percentuali inferiore a quella dei più giovani.
Indicatore di rischio di povertà dopo i trasferimenti e differenza tra l’indicatore di rischio di povertà prima e dopo i trasferimenti in alcuni paesi Ue – anni 2005 e 2014, valori percentuali (Fonte: Rapporto annuale Istat 2016)

Per i minori, evidenzia l’Istat, il rischio di essere poveri è associato, in primo luogo, alla ripartizione geografica di residenza e al titolo di studio della persona di riferimento in famiglia. I minori del Mezzogiorno e quelli che vivono in famiglie con a capo una persona che ha al massimo la licenza elementare presentano, infatti, un rischio di povertà relativa circa quattro volte superiore, rispettivamente, a quello dei residenti nel Nord e a coloro che vivono con una persona di riferimento almeno diplomata. Il legame tra povertà e ripartizione geografica si è allentato nel tempo, rileva il Rapporto, anche per effetto della presenza di stranieri nel Nord.
«Identità sospesa» per molti giovani stranieri
Nonostante le difficoltà dell’economia nazionale, sempre più giovani stranieri vogliono diventare cittadini italiani, ma ancora molti ragazzi con una storia di migrazione arrivati in Italia si sentono sempre stranieri o non hanno scelto la loro identità. Sul fronte dell’integrazione delle giovani generazioni il rapporto Istat 2016 rileva come la cittadinanza italiana sia un’aspirazione condivisa da un numero crescente di giovani stranieri.
Considerando sia i minori che acquisiscono la cittadinanza italiana per trasmissione dai genitori sia i nati nel nostro Paese che scelgono di diventare italiani al compimento del diciottesimo anno, si arriva a un numero che da 11 mila circa nel 2011 è passato a più di 50 mila nel 2014. Ma al di là della cittadinanza formale si sente italiano il 38% circa degli stranieri under18, il 33% si sente straniero, mentre è indeciso poco più del 29%. Quindi «la sospensione dell’identità è dunque una questione che riguarda una fetta rilevante dei ragazzi con background migratorio che vivono nel nostro Paese».
A tre anni da laurea solo il 72% dei giovani lavora (era il 77% nel 1991)
Rispetto a una ventina di anni fa sono quasi raddoppiati i giovani che a tre anni dalla laurea non cercano lavoro, la maggior parte perché ha deciso di continuare a studiare. Sempre secondo l’Istat, i laureati del 2015 hanno maggiori chance di trovare un’occupazione se nel proprio curriculum possono vantare un’esperienza Erasmus. A tre anni dal conseguimento del titolo, nel 1991 i laureati occupati erano il 77,1%.
Questo valore è sceso al 72% nel 2015, anno nel quale non cercano lavoro circa il 12,5% dei giovani laureati, quasi il doppio di quelli del 1991 (6,6%). Quest’ultimo dato va letto – spiegano i ricercatori – assieme al fenomeno della prosecuzione delle attività di formazione: nel 2015, infatti, il 78,7% di coloro che dichiarano di non cercare lavoro risultano impegnati in dottorati, master, stage o ulteriori corsi di laurea, quando nel 1991 la stessa quota era pari a 59,7 per cento.
Dipendenti Istat in agitazione, salta incontro con la stampa
Quest’anno la presentazione del Rapporto annuale Istat è segnata dallo stato di agitazione dei dipendenti dell’Istituto nazionale di Statistica che ieri sera hanno occupato il Centro Diffusione Dati «per chiedere a Governo e Amministrazione quale sia la loro determinazione nell’opporsi al processo di dismissione della ricerca pubblica».
La protesta ha costretto l’Istat ad annullare il consueto incontro con la stampa per l’illustrazione dei contenuti del Rapporto annuale. Nel mirino dei dipendenti, in particolare, la riforma degli enti pubblici di ricerca a firma del ministro dell’Università e ricerca Stefania Giannini «che distrugge il futuro della ricerca».
Sorgente: Il Sole 24 ORE
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