Messico e nuvole sul governo Renzi
16 Maggio 2016Caro Federico, come vedi ultimamente Renzi? Quando riappare in scena il Gran Commendatore Ledeen (a proposito del caso Carrai, che fa rima con governai), non è un buon segno per i Don Giovanni. Vuol dire per caso che è prevista la sostituzione a breve del centravanti? Magari con il perozzino, Di Maio che, dopo la dipartita di Casaleggio, si è tolto la tuta, ha iniziato il riscaldamento e si è subito affrettato ad andare a professare fede eurista (pro euro e pro UE) inginocchiandosi di fronte al corpo diplomatico al completo e rinnegando i famosi referendum sull’euro? Ovvero, da cinquestelle a sempre più pentacolati, anche se #sevedeva?
Quando guardo Renzi vedo un uomo che rappresenta già “il passato”. Nonostante Renzi sia un presente sorprendemente attivo nella sua attività di golden boy riformatore rapido della Repubblica Italiana, il suo destino politico non lo considero un tema rilevante.
Ultimamente il Fenomeno oltre ad aver portato avanti il suo programma di riforme (cioè la versione redux della letterina della BCE di tanti anni fa) ha fatto un sacco di nomine, come se volesse sbrigarsi a dimostrare a chi lo ha messo lì la sua efficienza. Renzi ha provato a più riprese a mettere Carrai in qualche posto di rilievo di Palazzo Chigi ma, a differenza delle altre nomine, questa ha trovato sempre una puntuale opposizione. Questo è indice di un qualche conflitto di potere ai vertici e non credo che la spunterà perché se è vero che Carrai è troppo vicino alle potenti lobby israeliane direi che non è aria in questo momento in cui tra pezzi da novanta della diplomazia e dell’intelligence israeliani e americani non scorre affatto buon sangue.
Già, è saltata anche la nomina ad ambasciatrice di Fiamma Nierenstein, ma forse è solo una coincidenza. Questa accusa americana a Michael Ledeen di, per così dire, propendere per Israele in una scelta di Sophie tra Stati Uniti e stato ebraico ci fa finalmente scoprire una realtà che abbiamo sempre volutamente ignorato, per provincialismo: che esistono almeno due CIA, un paio di Pentagoni e virtualmente ogni potere forte o agenzia è formato da correnti, esattamente come i partiti della nostra vecchia partitocrazia. Come dicono coloro che sostengono di essere addentro alle segrete stanze, ciò è buon segno perché, litigando ed essendo oppressi da terribili rivalità, i fautori del Nuovo Ordine Mondiale non saranno in fine in grado di realizzarlo. Ciò però non impedisce a questi poteri sovranazionali di continuare a tentare di plasmare i nostri destini a loro convenienza.
Purtroppo anche in questo caso il nostro paese si contraddistingue per il suo ruolo di sudditanza, un caso in cui il nostro essere protettorato americano emerge con un’evidenza imbarazzante. In pratica, ad impedire agli israeliani di ritagliarsi una posizione di potere all’interno del governo italiano sono stati gli americani, presumibilmente non per ragioni umanitarie.
Ciò è probabilmente parte del redde rationem con i neocon, assieme alla questione Arabia Saudita, paese in procinto di accanagliarsi agli occhi dello Zio Sam. Una incontro di wrestling tra titani niente male che rischia di diventare assai interessante.
Ne parleremo prossimamente. Tornando a Renzi. Egli è lì per guadagnarsi il consenso del pubblico da casa e, per farlo, nutre un reality show dove il suo bisogno ossessivo di raccontarsi di aver vinto si è sviluppato fino al parossismo ed è diventato imprescindibile. Qualche settimana fa ho fatto in modo di guardare gran parte dei suoi interventi in giro per l’Italia, i tanti “speech” che caratterizzano la sua azione di governo: dal discorso alla direzione del PD a quello tenuto di fronte ad un’assemblea di imprenditori, fino al monologo in TV, passando per il #MatteoRisponde e concludendo con l’intervista da Fabio Fazio. Ciò che ho visto è stato sempre lo stesso contenuto riproposto in modo sostanzialmente uguale in qualsiasi occasione e su qualsiasi piattaforma; un discorso piccato, a tratti quasi rabbioso, sempre teso a puntare il dito contro i nemici immaginari e ripetendo in continuazione l’esercizio retorico del “ma ci saranno quelli che diranno che… ” e cose come “ci sono quelli che non vogliono fare e lasciare tutto fermo, ma noi facciamo” ecc. Renzi ormai basa TUTTO il suo story-telling su un concetto di reazione a un nemico che deve essere zittito, mostrando un’inquietudine da personaggio che sta per finire il suo tempo più che da premier vincente.
Da un punto di vista teatrale questo agitarsi maccartisticamente contro il nemico è certo più consono ad un anziano leader come Berlusconi che lotta contro i comunisti come fosse ancora negli anni cinquanta, che ad un giovane – per gli standard italiani – leader rampante. Voglio dire che mi sembra fuori parte. Se pensiamo oltre tutto che i suoi “nemici” interni sono orsetti del cuore come Civati, Fassina, Cuperlo e Speranza, la sua lotta per la sopravvivenza rischia di sconfinare nella farsa.
Questo atteggiamento ha raggiunto il suo apice quando ha messo se stesso al centro del referendum. Così facendo, ha reso secondario il contenuto del referendum.
Il che poteva essere anche una mossa utile alla causa di distrarre il popolo dal furto di democrazia rappresentato dalla riforma (in)costituzionale. Però, in un clima di scontento generale, la biscia non rischia di ritorcersi contro il ciarlatano?
La consultazione si presentava molto accattivante per un’Italia che ha voglia di vedere meno politici, ma se diventa un referendum pro o contro Renzi, la faccenda cambia completamente perché per quanto questo governo possa avere un consenso maggioritario nel paese (e tutto ci dice che non ce l’ha), è chiaro che la somma delle persone alle quali Renzi non piace sarà comunque maggiore di quelle a cui piace. Se a questo aggiungiamo le incertezze negli esiti delle elezioni amministrative che, comunque vada, una batosta alla favola del consenso nel paese la daranno, non posso fare a meno di vedere un punto di svolta nel prossimo mese di ottobre. Ci tengo a dire però che il punto di svolta riguarderebbe solo la carriera di Renzi. L’Italia proseguirà il cammino verso il suo destino: la messicanizzazione.
Ma senza Zorro o pancivilla, e con Perozzino Onestini?
Mesi fa lo dissi, “Di Maio è il Renzi di domani” e, a giudicare da quanto spazio viene dato (e soprattutto come viene dato) a perozzino, l’esito di questa storia grillina sembra ormai scontato.
Martedì perozzino è andato in onda su La7 nell’ennesima intervista a due con Floris – stavolta in collegamento da Parigi, tappa del suo tour di accreditamento, dove quello che il conduttore chiamava “il presidente” era padrone assoluto della scena tanto da rendere lo spettacolo più simile ad un comizio che ad un faccia a faccia. Vorrei concentrarmi sulla pomposità con cui Di Maio viene chiamato “presidente” visto il suo ruolo di vice presidente della Camera. I vice presidenti della Camera sono quattro, di cui uno è Giachetti (che non viene chiamato presidente a ogni intervista e si concede un look e un linguaggio molto meno pomposo e ingessato di perozzino) mentre degli altri neanche ricordo il nome.
Ottima osservazione. Il che mi fa aggiungere che perozzino è l’unico vice che può permettersi di sfavillare della luce riflessa di Sua Eccellenza La Presidenta. E’ il suo Mercurio, mentre Giachetti sembra più il signor Nettuno.
Sui viaggi all’estero e sull’educazione istituzionale del prossimo golden boy della politica italiana hai già detto tutto tu. L’unica cosa che voglio aggiungere è che, nonostante la normalizzazione sembri coinvolgere un po’ tutto il M5S, è bene concentrarsi sulla figura di questo giovane leader tanto apprezzato in tutte le stanze che contano e che in un domani non troppo lontano potrebbe anche essere eletto come capo di governo da una maggioranza trasversale, una specie di grossa coalizione che si renderà necessaria dopo una tornata (ma ovviamente anche senza) dagli esiti incerti a causa di elezioni frettolose avvenute con la legge elettorale proporzionale non riformata per via dell’esito negativo di quel referendum istituzionale su cui Renzi aveva puntato tutto.
Nel mondo de “la sinistra del PD” è rimasto il profondo rammarico di non aver potuto fare un’alleanza PD-M5S per un governo Bersani e, in qualche modo, questi due mondi vivono nell’aspirazione di ripulirsi dalle scorie “di destra” (economica nel PD e populista nel M5S) presenti tra loro e di potersi abbracciare felicemente in un governo dell’Italia giusta che moralizzi l’Italia ingiusta.
Pensa che considerai il voto al M5S funzionale unicamente ad impedire questa sciagurata evenienza! Che io sia irrimediabilmente di destra e populista? Penso comunque che fosse anche lo scopo di chi ha affidato le chiavi del cancello al movimento di Casillo&Grilleggio. Impedire che il banco PD vincesse tutto e, nel frattempo, preparare i vari perozzini da sostituire ai piddini al momento opportuno. Infatti, parlando di messicanizzazione, ottenemmo allora un ottimo esempio di mexican standoff.
In questi scenari non ha neanche senso parlare di euro ed Europa, tanto la supercazzola del referendum e quella dell’altro europeismo possibile sono sufficienti a tenere a bada il pubblico mentre si porta avanti la battaglia della “O-N-E-S-T-À!” contro la corruzione.
La versione coloniale dei candidati americani che molestano le donne, non ti pare? Che palle…
La magistratura è già pronta a scatenare l’inferno se sarà necessario. I primi segnali già li hanno inviati e non è difficile immaginare una nuova tempesta in stile mani pulite che faccia da lubrificante per l’introduzione del governo dei giusti.
E degli onesti. La famosa “giustizia ad orologeria”. Non staremo diventando anche berlusconiani?
Tornando al populismonazzzionalismobbrutto, Obama in tour in Europa è entrato nel dibattito sul Brexit, approfittando della visita di cortesia per il compleanno della Regina. Non è stato proprio un “sappiamo dove va all’asilo il principino George”, però il messaggio è stato chiaro: dovete rimanere. Ovvero: l’impero manda a dire. Gli inglesi però non l’hanno presa bene. ll sindaco di Londra – quello uscente Boris Johnson, non il pakistano – gli ha dato in pratica del mezzo negro e, stamattina su Twitter qualcuno gli ha tranquillamente risposto che può andare a farsi “stuffed” e che loro non prendono ordini da nessuno. Ci attende per caso un Boston Tea Party al contrario?
Molto strana l’entrata a gamba tesa di Obama in Regno Unito. Noi italiani, purtroppo, siamo abituati a sentirci dire cosa dobbiamo fare per essere accettati dai grandi. I britannici no, non è una buona idea andare a dire cosa fare a una popolazione che ha detto cosa fare a mezzo mondo per tanto tempo. Solo per pura reazione d’orgoglio l’intervento di Obama avrà fatto propendere per il Brexit un sacco di indecisi.
Scherzando, giorni fa, ho scritto che se la regina Elisabetta, la sera prima del voto per il referendum sul Brexit, si presentasse in TV, a reti unificate, con il piccolo George in braccio e dicesse: “Keep calm and let’s leave!” sarebbe fatta.
Tuttavia, sul Brexit sono molto confuso.
No, non dire così, che mi deprimo…
I britannici sono sempre stati europeisti in maniera diversa da quella di tutti gli altri paesi europei. Loro non intendono far parte di uno stato europeo continentale e federale, sono consapevoli dell’opportunità di essere un battitore libero nello scenario globale e non hanno neanche paura di “nazionalismi” e “fascismi” che potrebbero risorgere, visto che in UK non ci sono state le dittature del ‘900 che da noi vengono rievocate quotidianamente come spauracchio. Quindi, più che chiedermi perché un britannico dovrebbe votare per uscire dalla UE, mi chiedo perché mai un britannico dovrebbe votare per rimanerci.
Allo stesso tempo però stento a credere che gli americani siano disposti a lasciare che il Regno Unito si sganci dall’unione e l’escalation nel ridicolo della campagna contro il Brexit parla chiaro: hanno cominciato paventando i soliti rischi di tempeste sui mercati, crisi e depressione per arrivare a quelli di guerra, emergenze sanitarie e genocidio.
Credo che l’argomento più forte dei partiti favorevoli al Brexit sia comunque il problema dell’immigrazione. L’elezione di un sindaco pakistano ma soprattutto islamico – e con amicizie scomode in quel mondo – deve aver dimostrato ancora una volta che l’isola non è al riparo dal rischio di invasione e sappiamo come ha sempre reagito il Regno Unito di fronte a questa minaccia.
Tuttavia c’è sempre il ruolo di Londra come testa di ponte dell’impero in Europa. E’ lì che pesta Obama, più che altro?
In tutti questi anni di UK nella UE, il governo a Washington ha, con diversi espedienti, usato Londra come garante dei suoi interessi di politica internazionale in seno all’Unione Europea. Senza Regno Unito, la UE diventerebbe un’unione tutta continentale senza più alcun legame “fisico” con quello che – prima con certezza, adesso meno – chiamiamo asse Angloamericano. Una UE senza UK diventerebbe un dominio completamente franco-tedesco che potrebbe decidere di mettersi in contrapposizione con alcuni punti cruciali dell’agenda di Washington. Basta vedere cosa sta succedendo con il TTIP e con cose come l’importazione di shale gas americano, con la Francia il cui parlamento sta discutendo il blocco di questo genere d’importazione.
Quindi, anche se il cuore mi dice che i britannici voteranno per il Brexit, la testa mi dice che la Brexit non ci sarà.
Spero tanto tu ti sbagli. Sarebbe un bello scossone di terremoto…anche per noi.
La cosa che mi rattrista è che comunque vadano le cose il nostro paese è già in posizione supina per subire qualsiasi evoluzione degli eventi. Comunque vadano le cose, noi siamo sempre i più fedeli alla linea (orizzontale), dettata dagli altri. Stiamo qui ad osservare gli eventi esterni, ci ragioniamo sopra, speriamo che i contraccolpi possano avere degli effetti positivi sul nostro paese e che mettano l’Italia sulla giusta strada, ma sappiamo che l’Italia non sarà in grado di cavalcarli con destrezza, né sarà in grado di essere il paese portatore del cambiamento. E sì che ce ne sarebbe davvero bisogno, perché l’Italia ha ancora i fondamentali per farlo.
È questo il problema principale. Gli assetti internazionali cambiano, ci saranno sempre paesi più forti e paesi più deboli, regole a cui conformarsi per ragioni di opportunità politica, ma se un paese ha la schiena dritta ed è consapevole della sua identità riuscirà sempre a trarre il meglio possibile da ogni fase storica.
Questo l’Italia non sa farlo, forse non può proprio farlo. Dobbiamo prenderne atto.
Anche perché chi ci ha provato in passato è sempre finito male. Non si può pretendere il coraggio da chi non sa darselo. Soprattutto in questi tempi di vacche politicamente magre.
Sorgente: L’Orizzonte degli Eventi