Incontro con Silvia Baraldini – Di Ken Sharo

1 Giugno 2017 0 Di ken sharo

Di Ken Sharo

Cominciamo a riportare prima un po di storia di Silvia Baraldini, e ringraziamo i carc per questa interessante serata

Ha fatto parte negli anni sessanta, settanta e ottanta negli Stati Uniti del movimento rivoluzionario Black Panther Party che combatteva per i diritti civili dei neri. Fu membro anche di un’associazione parallela al BPP, l'”Organizzazione 19 maggio”, legata al Black Liberation Army (BLA). Nel 1983 è stata condannata a una pena cumulativa di 43 anni di carcere (di cui molti passati in isolamento e carceri di massima sicurezza) negli Stati Uniti per i reati di concorso in evasione, associazione sovversiva (comprendente anche due tentate rapine a cui non partecipò personalmente, e tramutata in associazione a delinquere per commettere cospirazione secondo la legge RICO, una legge nata in origine per colpire la mafia) e ingiuria al tribunale, per non aver fornito i nomi dei compagni.

Dopo la condanna si sono sviluppati negli Stati Uniti e in Italia gruppi di appoggio che ritenevano la pena sproporzionata e persecutoria, in quanto la Baraldini non partecipò direttamente a fatti di sangue e ricordando che, nella legislazione italiana, tali reati – corrispondenti pressappoco ai reati di concorso in evasione e concorso morale in rapina e partecipazione ad associazione sovversiva – sarebbero puniti al massimo con una pena di circa 10 anni e senza carcere duro.[1][2] Il forte sostegno alla sua causa da parte dei partiti di sinistra e di organizzazioni umanitarie ha portato alla estradizione in Italia nel 1999. Dopo alcuni anni di arresti domiciliari Silvia Baraldini è stata scarcerata il 26 settembre 2006 per effetto dell’indulto. In totale ha scontato circa 23 anni di reclusione.

Nell’incontro con Silvia emergono diversi punti che ritengo molto importanti: le pantere nere non operavano in clandestinità e dovevano essere visibili e riconoscibili sul territorio con diverse forme di difesa. Oltre a questo, emergeva un lavoro sociale con il territorio come per esempio, le colazioni per i bambini in quanto a scuola dovevano avere la mente lucida e non attanagliata dalla fame.

Un altro punto importante era il giornale che era distribuito in tutto il quartiere, il quale dava informazioni sia sui propri diritti, sia sugli atti di repressione da parte delle forze di polizia.

Questo portò a una divisione di ruoli tra i gruppi clandestini (Black Liberation Army) e pantere nere,   ognuno con i propri obbiettivi ma con un unico fin, ovvero, sviluppare ulteriormente il movimento di liberazione degli afroamericani fino ad allora pesantemente discriminati.

I Black liberation Army si muovevano militarmente in gruppi piccoli con azioni veloci e questo  poiché molti membri di questi gruppi erano reduci della guerra del Vietnam o della Cambogia.

Silvia durante l’incontro ha sostenuto che il problema è dare  diritti civili a tutti individui. Il percorso integrativo a questo punto diventa un percorso di scelta individuale, ovvero che l’integrazione  di un popolo o di un’etnia riconosce il potere dello stato sull’individuo, sul popolo o sulla persona ma spesso non è riconosciuto il diritto di scelta. Da ciò, quindi, le lotte devono basarsi sui diritti civili e sociali, e di conseguenza l’integrazione in un popolo o in una nazione deve rimanere una scelta individuale e non indotta dallo stato.

Quindi riportiamo anche un po’ di storia delle Pantere Nere

Alla fine degli anni sessanta del XX secolo, l’organizzazione divenne famosa nella scena politica nazionale statunitense ottenendo anche una notevole considerazione all’estero, fino a quando, a causa di divisioni interne e repressione da parte del governo, cominciò la sua parabola discendente.

Nel 1989 è nato a Dallas, in Texas, il New Black Panther Party, ma come hanno tenuto più volte a ribadire ex membri delle Pantere Nere, il nuovo partito sarebbe illegittimo e “non è il nuovo partito delle Pantere Nere”.

Il simbolo, la pantera nera, deriva dalla preesistente “Organizzazione per la libertà della contea di Lowndes“, in seno alla quale i membri del futuro Black Panther Party iniziarono a organizzarsi politicamente.

L’organizzazione fu fondata ufficialmente a Oakland (California) nel 1966, per iniziativa di due ex-compagni di scuola, Huey P. Newton e Bobby Seale. L’obiettivo dei due era di sviluppare ulteriormente il movimento di liberazione degli afroamericani fino ad allora pesantemente discriminati, socialmente, politicamente e legislativamente. Il movimento di liberazione stava conoscendo negli anni sessanta un rapido sviluppo grazie all’opera di attivisti come Malcolm X e Martin Luther King. Grosso risalto per l’organizzazione in occasione dei Giochi olimpici di Città del Messico 1968, quando i due velocisti neri Tommie Smith e John Carlos con pugni chiusi e mano guantata di nero (simbolo della lotta delle Black Panthers), ricevevano le loro medaglie restando immobili sul podio dei vincitori. I due atleti neri ebbero la solidarietà di molti atleti bianchi quando le autorità sportive, ritenendo inadeguato il gesto, li sospesero dalla squadra americana con effetto immediato e li espulsero dal villaggio olimpico.

La peculiarità delle Pantere fu quella di rifiutare le istanze nonviolente e integrazioniste di King, a loro avviso inefficaci e addirittura motivate da una nascosta collusione con le strutture di potere dei bianchi. Al principio della nonviolenza le Pantere sostituirono quello dell’autodifesa (self-defence) come strumento di lotta fondamentale. In particolare, cominciarono a praticare il “Patrolling“. Questo consisteva nel pattugliare, tenendo sempre le armi in bella vista, le azioni della polizia, in modo da condizionarne l’operato, impedendo che questa abusasse del suo potere contro le persone di colore che fermava. Altra peculiarità del Black Panther Party fu la lettura della discriminazione dei neri all’interno di un’ottica marxista-leninista di lotta di classe, e quindi di opposizione alla struttura capitalistica della società statunitense.

  1. Vogliamo la libertà, vogliamo il potere di determinare il destino della nostra comunità nera
  2. Vogliamo piena occupazione per la nostra gente
  3. Vogliamo la fine della rapina della nostra comunità nera da parte dell’uomo bianco
  4. Vogliamo abitazioni decenti, adatte a esseri umani
  5. Vogliamo per la nostra gente un’istruzione che smascheri la vera natura di questa società americana decadente. Vogliamo un’istruzione che ci insegni la nostra vera storia e il nostro ruolo nella società attuale
  6. Vogliamo che tutti gli uomini neri siano esentati dal servizio militare
  7. Vogliamo la fine immediata della brutalità della polizia e dell’assassinio della gente nera
  8. Vogliamo la libertà per tutti gli uomini neri detenuti nelle prigioni e nelle carceri federali, statali, di contea e municipali
  9. Vogliamo che tutta la gente nera rinviata a giudizio sia giudicata in tribunale da una giuria di loro pari o da gente delle comunità nere, come è previsto dalla costituzione degli Stati Uniti
  10. Vogliamo terra, pane, abitazioni, istruzione, vestiti, giustizia e pace

Oltre a questi punti, il Partito sviluppò, attraverso specifiche campagne, una strategia di radicamento sociale che fu, più che il possesso delle armi, la vera chiave di volta della loro lotta politica e il nucleo della strategia dell’autodifesa. Nacquero così diversi programmi a favore delle comunità, come il Free Breakfast for Children (programma di colazioni gratuite per i bambini neri), il programma di assistenza sanitaria gratuita per i neri, e le scuole di educazione politica per gli adulti. Inoltre le pantere nere provvedevano ad accompagnare i parenti dei detenuti di colore che avevano l’impossibilità di muoversi autonomamente e con i mezzi pubblici alle carceri tramite un vero e proprio servizio di trasporti.

La repressione governativa però non tardò a farsi sentire. Il movimento entrò nel mirino di Edgar Hoover e dell’FBI, che iniziò a operare per smantellarlo attraverso l’infiltrazione di agenti sotto copertura, blitz nelle sedi del movimento, arresti e altre forme di repressione. Famoso, a tal proposito, fu l’assassinio di Fred Hampton, uno dei leader del movimento, il 4 dicembre 1969. La repressione divise il partito, che finì per dissolversi; i militanti intrapresero altre e diverse forme di lotta, dalla lotta armata a posizioni più moderate.

Pur nella sconfitta, le Pantere segnarono la storia contemporanea della società americana. Figure come quelle di Bobby Seale, Huey P. Newton, George Jackson, Angela Davis e altri divennero simboli della rivolta contro la discriminazione razziale e dell’emancipazione degli afroamericani.

Ken Sharo