La teoria delle scelte e
l’herd istinct, l’istinto del gregge
Spagna (e Italia) svolta politica. Toh! I venti ciclonici della nuova politica continuano a spazzare l’Europa. Dopo l’Italia dei “populisti” e “sovranisti” (termini evidentemente spregiativi, usati spesso e a sproposito a proprio uso e consumo da chi perde le elezioni), ecco la Spagna degli “ex popolari”, dove RajoiSanchez, ci ha lasciato le penne, mollando la cadrega al socialista-traghettatore Pedro Sanchez, incaricato di navigare verso nuove elezioni e che sta già abbozzando il nuovo governo. Se Agatha Christie diceva che tre indizi fanno una prova, allora anche quello che succede a Madrid non è solo un affare interno iberico, ma lo specchio di un malessere continentale generalizzato. Perché un po’ da tutte le parti gli “eurocritici” dilagano. Certo, “est modus in rebus”, diceva agli antichi romani Orazio Flacco. E, ormai, di uscire dall’Euro parlano solo i talebani del sovranismo, quelli che non sanno distinguere una cambiale da una carta da mille e coloro che odiano i tedeschi (con qualche ragione). Punto.
Una società sempre più frammentata
Non è questa, di sicuro, la sede per richiamare l’abbecedario della politica finanziaria o della macroeconomia. Ma criticare (e cambiare) un carrozzone nato come Mercato comune a cui poi è stata data una passata di ducotone di “unità politica”, dominata dall’elmo chiodato prussiano, quello sì. Non solo è lecito, ma anche sacrosanto, proprio per evitare che salti il banco. Dunque, perché la Spagna è interessante? Perché ci consente di fare un’analisi comparativa con la situazione italiana. Ok, il governo iberico è scivolato sulla saponetta degli scandali. Ma il malessere era più profondo ed era di natura squisitamente politica. In senso generazionale. Come da noi. I vecchi partiti di massa hanno fatto il loro tempo, non riuscendo più a rappresentare interessi omogenei a fronte di una società sempre più frammentata. Destra, sinistra, centro? Categorie alquanto sbiadite e, comunque, da rivedere. Oggi si sceglie secondo parametri molto più complessi.
Mito dell’elettore razionale
Nel suo “Mito dell’elettore razionale” Brian Caplan (George Mason University) spiega magistralmente, da economista, i motivi ispiratori del “voto”, elaborando concetti vecchi, ma ritornati prepotentemente alla ribalta, come l’Herd istinct, l’Istinto del gregge, tanto caro agli studiosi di “comportamentismo” di mezzo mondo. In sostanza, alla definizione delle scelte concorrono aree diverse del cervello. In particolare, vengono attivate due specifiche regioni: quella analitica e quella emozionale. E’ dall’interazione tra questi due processi, dal loro “bilanciamento” più o meno equilibrato, che dipendono i risultati finali. In particolare, la sfera analitica è codeterminata dalla conoscenza (cultura+istruzione) e la seconda dalle esperienze (cultura+sentimenti). Se la seconda prevale, la decisione presa può essere apparentemente illogica. Non frutto di un algoritmo che rispetti le regole, ma di un psico-ritmo che procede a balzi.
Voto per rabbia a spararsi addosso
Un contributo notevole allo studio dei processi cerebrali coinvolti nelle scelte viene dalla psicologia forense, dalla psico-economia e dalla comparazione tra psicanalisi e psicologia sociale. Nell’Herd istinct, quando si vota (a prima vista) contro i propri interessi, per simpatia o antipatia o per rabbia, c’è una chiara prevalenza della sfera emozionale nelle scelte. E torniamo alla Spagna. Quasi tutti gli indicatori indicavano una gestione dell’economia tutto sommato soddisfacente da parte del governo popolare di Rajoi. Pil quasi al 3%, bilancia dei conti correnti +26 miliardi di dollari, inflazione 1,4%, spread a 125, disoccupazione al 16% (ma con il socialista Zapatero era al 25%), debito su Pil al 2,6% (dentro i parametri di Maastricht ) e, unica nota stonata, produzione industriale rimbalzata al -3,6%. Eppure il Parlamento di Madrid si è scelto un altro socialista. Cioè il rappresentante di un partito che aveva portato la Spagna allo scasso finanziario.
Paese legale contro Paese reale
La verità è che, Catalogna a parte, i movimenti “dal basso”, come “Podemos” e gli autonomisti, vogliono dare una svolta. Un po’ come in Italia avviene con Lega e Cinque Stelle. E questo indipendentemente da come vanno i conti. I sinistri “asimmetrici” di “Podemos” avant’ieri hanno fatto la differenza. Gli spagnoli (come gli italiani) sono stanchi di una politica che dà risposte col contagocce, guardando solo i numeri, quasi cabalistici, di un Paese legale sempre più lontano dal Paese reale. D’altro canto, come sperare che un’Europa costruita dai monetaristi possa essere gestita secondo modelli neokeynesiani? Risposte certe non ce ne sono. E’ vero che Nobel come Joseph Stiglitz e Paul Krugman hanno sparato a zero contro la gestione che a Bruxelles hanno fatto della mega-crisi. Ma è pure vero che la globalizzazione (imposta dai mercati) ha regole che, se non osservate, non solo ti emarginano, ma ti fanno anche diventare il parafulmine di tutte le tensioni.
Che fare? Si chiedeva Lenin. Beh, oggi, più prosaicamente, la gente spera e vota. Sempre per il meglio, è ovvio. Questo non significa, però, che non ci possa essere anche il peggio. A Madrid (e a Roma) incrociano le dita.