“Congresso presto, così il Pd non ha senso”
3 Luglio 2018Parla Gianni Cuperlo: chiedo discontinuità, una nuova classe dirigente e di scavare le fondamenta di un’alleanza sociale larga per l’Alternativa
by Alessandro De Angeli
Cuperlo, prima di affrontare l’attualità, il “che succederà sabato all’assemblea del Pd”, le propongo una riflessione più ampia, perché più ampia è la dimensione del problema. Partiamo dal dato che forse conta di più se cerchi di spiegare la disfatta della sinistra: si è perso il popolo, come hanno certificato le amministrative. Dato questo che il Pd non ha ancora analizzato, così come non ha analizzato la sconfitta delle politiche e quelle precedenti.
“Concordo. E siccome mi invita a una analisi spietata le dico che i numeri sono spietati. Dieci anni fa il Pd raccolse 12 milioni di voti. Cinque anni dopo 8 milioni e mezzo. Il 4 marzo ci hanno votato 6 milioni di italiani. Se un decennio ti dimezza vuol dire che una parte del tuo mondo ha perso fiducia in te. Ma questo è solo un lato della medaglia. L’altro è nella incapacità di costruire un consenso più ampio. Perché se scavi nel risultato, ma anche se metti piede in un circolo, scopri che la tenuta è tra pensionati e lavoratori garantiti mentre vedi pochissimi di quelli che la recessione ha punito o espulso”.
Perché il popolo non è dato una volta per sempre. È una costruzione politica. Tu in questi anni hai fatto un’altra costruzione, nell’idea di acchiappare i moderati in fuga dal berlusconismo. Tranne poi constatare che i moderati si sono incazzati e votano Salvini.
“Ecco. Tutte le parole sulla sinistra che vince nei salotti e viene spiantata in periferia affondano lì, in una fotografia impietosa: è mutata la nostra ragione sociale, la capacità di dar voce a chi sta peggio e chiede soddisfazione per i suoi bisogni. Ma quel mondo non lo conquisti celebrando principi. Quel mondo ti chiede soluzioni qui e adesso perché sente di non avere più il controllo sulla propria vita. Delusione, rabbia, nascono così. “Quando il furore tempesta l’anima si avvicina il tempo della vendemmia”, questo non è Salvini, è Steinbeck, 1939. La storia in parte si ripete ma a vendemmiare questa volta sono stati gli altri”.
Però una cosa mi colpisce molto. E mi pare la vera novità. E cioè che pare non scattare più neanche l’evocazione del pericolo, quella cosa che dopo il primo Berlusconi nel ’94 portò a riempire Piazza del Duomo il 25 aprile. Oggi succede che non solo non riempi le piazze, ma perdi nelle zone rosse dopo che Salvini ferma le Ong, annuncia le espulsioni etniche e minaccia che venga tolta la scorta a Saviano. Perché oggi Salvini non è percepito come un pericolo?
“Perché intercetta un sentimento che c’è, si chiama paura e deforma atteggiamenti, modi di pensare. Se vivi nell’angoscia che altri, magari più disperati di te, ti portino via il poco che hai la prima reazione è giudicarli il nemico. Gli immigrati assolvono pienamente al ruolo. Non conta che oggi su quel fronte non vi sia alcuna emergenza. Per scatenare l’onda, il nemico basta additarlo. L’altra ragione è nella lingua. La destra semplifica, radicalizza. “Sei un ladro e mi entri in casa? Ho diritto a spararti”, “Nei campi Rom ci mando la ruspa”, “I migranti? Gente in crociera”. Certo che sono formule irricevibili ma in mezzo a un sacco di gente che sta male penetrano come lama nel burro. Anche in questo caso la risposta non può limitarsi allo sdegno. A me come a chiunque, non dico di sinistra ma di buon senso, quelle espressioni fanno ribrezzo. Il punto è convincere la parte di persone che sta male che l’alternativa esiste e ci sono soluzioni in grado di garantire la loro sicurezza senza rinunciare alla civiltà di tutti”.
Questa idea che tutto nasce solo dalla paura, le devo dire la verità, mi sembra riduttiva a spiegare un terremoto politico di queste dimensioni.
“Dall’altra parte infatti c’è l’imporsi di una destra nazionalista con tratti autoritari. Penso alle parole di Pontida domenica. Dietro la “Lega delle Leghe” c’è la volontà di colpire i pilastri della convivenza europea a partire dai principi liberali e democratici. Mezza Europa sente questa minaccia sul collo, in diversi paesi già da tempo è forza di governo e al Consiglio Europeo dell’altra settimana lo si è toccato con mano”.
Sta dicendo che l’Italia è una sorta di laboratorio europeo del populismo.
“Beh, l’esperimento italiano sta tutto dentro quel solco che da Est si spinge a Nord e prova lo sfondamento in Italia ma non lo chiamo populismo, è nazionalismo, il male peggiore del continente. Questo dovrebbe smuovere le coscienze perché è qui il vero pericolo del governo giallo-verde, in una possibile coalizione tra Lega e 5Stelle non più episodica e che per la prima volta dopo settant’anni vedrebbe nascere un partito di destra radicale e di massa nel cuore dell’Europa. Qualcosa che le tragedie del ‘900 avevano rimosso per decenni. Questo rende ancora più irresponsabile la scelta di una parte del Pd di fare il tifo perché questo governo vedesse la luce. “Vigileremo e vedremo se sarete in grado di mantenere le promesse”, una frase simile non è nel corredo di una opposizione matura. È un clamoroso errore e segna la rinuncia a svolgere una iniziativa politica anche per far emergere le contraddizioni dentro i 5Stelle. Noi oggi dovremmo lavorare per rompere quell’alleanza, non per saldarla”.
A me però sembra abbastanza salda di suo. Se uno ti dice “tu o Salvini è lo stesso”, e poi, al governo con Salvini, non fa un solo distinguo degno di questo nome su questioni di fondo, di valori, che cosa rompi? La linea dei pop corn è ridicola, ma la sua posizione mi pare un po’ ottimistica.
“Non è tempo di ottimismi fuori luogo, è vero ma dovremmo farlo perché la destra estremista che la Lega interpreta e proietta verso un consenso che l’Italia dopo il fascismo non ha più espresso va contro gli interessi del Paese. Può letteralmente stravolgerne la funzione, quella che ci ha reso grandi anche senza essere una potenza politica o militare, ma semplicemente per la nostra vocazione mediterranea. Questo dovrebbe far suonare l’allarme, questo rischio concreto. Ma allora forse è giusto dirsi che le piazze si riempiono quando chi le promuove rappresenta un malessere “preso in carico” e per questo gli vengono riconosciute autorevolezza e credibilità. E oggi questa condizione non c’è”.
A me pare che questo Pd o ciò che ne resta non sappia fare l’opposizione. Per capirci quella che una certa sinistra ha praticato per decenni. Perché l’opposizione non è battibecco in modalità social, è innanzitutto una idea di società alternativa. Tu oggi non hai una opposizione perché non c’è una idea di società alternativa. E quindi tutto diventa tattica. Sbaglio?
“Non sbaglia. Sono convinto che ruolo della sinistra e del Pd non sia fare le pulci al governo, o non solo quello. Noi abbiamo un compito preciso: far vivere una alleanza, un fronte largo per una Alternativa. Farlo vuol dire scuotere la pianta e rianimare un organismo depresso. Andare a disturbare gente che in anni difficili ha continuato a pensare, studiare, che ha prodotto idee quando si ragiona di un legame da riscrivere tra lavoro, compensi e tenuta delle democrazie. Abbiamo sbeffeggiato i 5Stelle sul reddito di cittadinanza, cosa che loro per primi hanno archiviato. Ma penso che in un paese coi nostri disoccupati il reddito di base sia uno strumento da mettere in campo, adesso. Penso che di fronte ai dati della povertà e dell’analfabetismo tocchi alla sinistra dire dove trovare risorse da destinare lì, e per me il termine patrimoniale o rivedere i meccanismi della tassa di successione devono far parte di questa ricerca. Potrei citare il dramma della casa e di 250mila famiglie che non ce la fanno a pagare il mutuo. Se la consideri una urgenza sociale devi pensare a un fondo privato o partecipato dal pubblico che affronti il problema senza aggravi per lo Stato, si può fare. Come è giusto rivedere l’intero sistema degli incentivi alle imprese assieme a una ricetta sul fronte istituzionale che archivi il culto di uno “Stato minimo”. C’è da ripensare il diritto dell’economia nel tempo digitale. Io dico studiamo e poi avanziamo queste misure. Diamo il senso che abbiamo in testa una alternativa reale e su quelle basi rifondiamo le alleanze per rialzarci da terra”.
E sul decreto dignità? Il Pd dovrebbe valutare l’idea di votarlo?
“È più un manifesto di propaganda che un’azione incisiva. Vede, io non ho votato il jobs act perché lo scambio tra diritti e flessibilità lo ritenevo un errore. La precarietà la combatti con l’innovazione e la crescita, non agendo solo sulle regole del mercato del lavoro. Detto ciò aumentare l’indennizzo per i licenziamenti illegittimi o reintrodurre la causale nei contratti a termine è giusto, lo avevamo proposto, ma devi anche sapere che oggi il tempo determinato è l’11,8% da noi contro il 14,3 in Europa o il 26% della Spagna. C’è poco da fare, la chiave di una ripresa solida restano gli investimenti pubblici e su questo dal governo non si leva voce. Invece hanno discusso per giorni se abrogare lo split payment e allora capisco che stanno prendendo contromano”.
Cuperlo, traduciamo. Tutto questo come si condensa in un tweet per intenderci.
“Discontinuità netta con le ultime stagioni. Ma sopratutto torniamo ad ascoltare quel pezzo di paese che alla sinistra chiede un segno di vita e una coscienza dei conflitti. Quella sinistra è tutt’altro che estinta ma oggi non vive il Pd come lo strumento per condurre la battaglia”.
Sono quattro anni che sento questa parola: discontinuità! Abbia pazienza, il Pd si è pressoché estinto, balbetta sul congresso, perde il popolo e poi non lo cerca, coinvolgendolo in una discussione, e lei parla di “discontinuità”. A me pare che l’abbiano fatta gli elettori, la discontinuità.
“Ma io non nego la sconfitta e se non avessimo chiuso gli occhi già a fine 2014 quando in Emilia si vince ma va al seggio un cittadino su tre forse avremmo evitato danni peggiori. Io dico che dopo una gelata simile devi resettare molto, moltissimo, del tuo modo di pensare, di organizzarti, di agire”.
E quindi il congresso?
“Anche, certo. Sul congresso dico una parola soltanto: presto. Ma facciamolo scomodando cuore e cervello, non il pallottoliere. Occorre costruire una nuova leadership e un’altra classe dirigente ma sopra ogni altra cosa tornare a conoscere e ascoltare la parte che vogliamo rappresentare. Basta trasformismi. Riscriviamo i fondamentali a partire dal primo: se sei la sinistra, che tu parli di migranti o lavoro, di scuola o fisco, non puoi fare il mestiere della destra né inseguirla sperando di raccoglierne le briciole”.
Sì, ma quando cambiano colore anche le periferie di Pisa, siamo oltre. Diciamoci la verità: la sinistra è per la prima volta a rischio estinzione?
“La sinistra paga il prezzo dei suoi errori. Succede qui, è successo in Germania l’anno scorso quando l’Spd ha raccolto il peggior risultato del dopoguerra, per non dire della tragedia socialista in Francia”.
Sì, però con Verdi e Linke, quasi metà dell’elettorato è di sinistra. Ci sono poi gli altri paesi europei…
“Se mi lascia finire… La sinistra oggi è anche altro. È il governo spagnolo retto coi voti di Podemos. È l’esperimento di Antonino Costa in Portogallo o la stagione di Corbyn nel Labour. È l’impatto di Melenchon in Francia e la parabola di Tsipras. È la mezza rivoluzione di Alexandria Ocasio-Cortez che alle primarie di New York strapazza i boss democratici parlando di socialismo. La sinistra è anche nella tavolata solidale di diecimila milanesi e nelle onlus dei banchi alimentari. C’è tanta sinistra nelle parole di Aboubakar Soumahoro, il sindacalista che ci ha commosso dopo l’assassinio di Soumaila Sacko, il migrante del Mali ucciso da una fucilata in Calabria, come c’è tanta sinistra nella fatica di migliaia di sindaci e amministratori sconosciuti”.
Ecco, si può dire che in Italia è più debole e afona che nel resto d’Europa. Le domando: ma ha ancora senso il Pd?
“Se guardo a questo Pd dico di no. Questo modello di partito fondato sulle primarie e che ha trasformato i gruppi dirigenti in falangi fedeli al capo di turno non ha più un senso e uno spazio nella società italiana. L’ostilità che circonda questo simbolo e che va molto al di là degli errori compiuti e dei meriti che ci sono stati dice quanto sia profondo il solco tra un ceto politico di professionisti e un mondo che cerca altri riferimenti. Bisogna avere l’umiltà di vederlo. Continuare sulla strada di prima sarebbe un suicidio e ci troveremmo a commentare nuove sconfitte. La sola strada è ripensare il progetto in sé”.
In che modo?
“Penso che il Pd vivrà solo se saprà diventare un contenitore molto più ampio al quale ci si possa federare come associazioni di interesse o territoriali. Penso si debba ripartire dai circoli dove ancora esistono e dove ci sono dei “santi” che alzano la saracinesca e organizzano servizi, tengono in piedi quel tanto di socialità che serve anche a non regalare il campo alla destra. Sto girando questi luoghi, c’è una vitalità che abbiamo ignorato per anni. Quelle persone non ti chiedono lezioni, spesso le danno. Così come c’è un mondo che si organizza fuori da noi e che di noi diffida perché ci vede rinchiusi dentro riti stanchi e anche un tantino ottusi. Per tutto questo vorrei un congresso diviso in due momenti. Prima un confronto libero da nomi sulle scelte di fondo per il nuovo corso. Rivedere il manifesto dei valori, andare ad ascoltare e disturbare una società carica di cose vitali, insomma proiettarci in un tempo nuovo. Poi i candidati alla segreteria con mozioni che a quell’impianto diano gambe e applicazione. Se invece ripartiamo dagli eserciti schierati dietro questo o quello temo che si avvicinerebbe il cozzo col muro”.
Condivide l’idea di andare “oltre”? In fondo l’oltrismo è un vecchio riflesso dopo le sconfitte, ma la domanda vera è: cosa c’è oltre?
“Andare oltre può voler dire tutto e il suo contrario. Se “oltre” c’è il partito di Macron, l’union sacrée contro i populismi in una nuova versione della miscela destra-sinistra non è la mia partita. Se invece l’oltre implica superare molte certezze che la sinistra ha cullato negli ultimi vent’anni, osare nel dire cose che non abbiamo avuto il coraggio di dire e di pensare, io dico facciamolo con un altro Pd perché non è possibile che la sola risposta alle sconfitte sia far le valigie e traslocare. A furia di inseguire il nuovo senza dire cos’è abbiamo finito col travestire i gazebo da santuari della rivoluzione. Col risultato che la cosa più rivoluzionaria sono stati i due euro versati come obolo da chi passava di là e sceglieva il segretario di un partito che magari non avrebbe neppure votato. Questa strategia ha logorato e deluso tanti, troppi”.
Nominiamo Renzi: tiene ancora il partito sotto sequestro?
“Renzi non è stato una parentesi o un incidente. Non l’ho mai giudicato l’usurpatore di una storia o venduto all’ideologia del mercato. Credo che lui sia stato il leader più ambizioso degli ultimi anni. Ha coltivato un disegno politico pensando che su quello potesse innestarsi una stagione di modernizzazione del paese. Quel progetto si reggeva su due gambe. La riforma costituzionale con un impianto presidenzialista pure restando nel perimetro di una repubblica parlamentare e con un maggioritario spinto. L’altra gamba era in un rapporto non più mediato tra l’esercizio del “potere” e l’opinione pubblica. Meno filtri, la disintermediazione rispetto ai vecchi corpi intermedi. Ripeto, quello è stato un progetto politico al quale io mi sono opposto. Il punto è che è stato clamorosamente sconfitto, prima al referendum e poi il 4 marzo. Riconoscerlo è un atto di onestà. Con la stessa sincerità trovo incredibile che gli stessi che quella leadership hanno sostenuto abbiano rimosso totalmente la loro adesione a quella visione. Della sconfitta ciascuno di noi porta una quota di responsabilità. Renzi si è dimesso, tutti gli altri più o meno sono rimasti dov’erano. Prima che sbagliato lo trovo un comportamento indecente”.
E allora nominiamo anche gli altri, che cincischiano su congresso, procedure e tatticismi. Diciamo la verità: manca la forza e il coraggio. Cosa altro deve succedere per sfidare Renzi, o chi per lui, e batterlo?
“Ma il punto non è più Renzi e chi continua a pensarlo non vede il campo e cosa è divenuto. Il punto è rimettere in piedi un partito segnato dalla sconfitta peggiore della vita. Forza, coraggio sono belle parole, figuriamoci se non servono. Ma senza ricambio di idee e rottura degli schemi consacrati nell’ultimo decennio non basteranno. Il tema non è sfidare e battere Renzi che è stato sconfitto dagli elettori. Noi dobbiamo sfidare e battere la destra”.
Cosa pensa dell’ipotesi di eleggere sabato Martina segretario?
“Io ero per farlo due mesi fa in quell’assemblea che, sbagliando, si decise di rinviare. E poi ancora il mese dopo in un’assemblea conclusa senza decidere nulla. Martina è rimasto invece sospeso nel limbo mentre attorno a lui si confermava l’assetto di prima, dal partito ai gruppi parlamentari. Per lui ho stima e amicizia e anche per questo non vorrei che finisse come in quella storiella dell’ufficiale che comunica di aver fatto cento prigionieri. Al che dal quartier generale gli dicono “bravo, portaceli” e lui “non mi fanno venire”. Dico, guardiamo fuori da noi e capiamo ciò che ci viene chiesto da circoli e iscritti. Sabato l’importante è che si avvii il percorso del congresso perché è la condizione per affrontare le elezioni europee. Al posto di Maurizio sarei io a chiederlo e a quel punto credo che in tanti lo sosterremmo”.
Renziani e non solo vogliono il congresso dopo le europee.
“Ma una stagione nuova non va aperta tra un anno o due perché potrebbe essere troppo tardi. A settembre riunirò quanti credono che con meno di questo non ci si può rialzare. Tanti o pochi che siano sento che dobbiamo ripartire da qui, chiarezza, trasparenza e quella passione che non vedo più negli occhi di molti ma che c’è e devi solo darle diritto di parola”.
Appoggerà Zingaretti?
“Non escludo nulla, ma non partirei dai nomi. L’ho detto prima. All’ultimo congresso ho appoggiato Orlando e Andrea ha fatto un lavoro prezioso. Detto ciò il congresso che verrà deve sciogliere i tre nodi che dicevo: discontinuità col prima, nuova classe dirigente, scavare le fondamenta di un’alleanza sociale larga per l’Alternativa. Per fare questo serve un segretario che si dedichi al partito e non abbia altre ambizioni. Sarò più chiaro, in un’epoca dominata dal proporzionale e da tre poli il segretario del Pd non sarà per forza il candidato premier e con ogni probabilità non lo diventerà”.
Torniamo a Zingaretti.
“Con lui c’è un’amicizia nata trent’anni fa. Naturalmente lo ascolterò, ho letto la sua intervista e l’ho trovata seria, ma per me conterà anche il percorso perché sono convinto che a questo punto l’unanimismo di facciata e il trasformismo potrebbero uccidere la speranza. Io voglio un’alternativa vera e un segretario che la incarni. Ma ripeto, una alternativa “vera”.
Sa che le dico? Manca anche un dramma all’altezza della situazione.
“Sì, è così, nel dramma che vive la sinistra non si intravede il pathos, l’emotività. E quando la politica si riduce a personalismi o carriere da preservare si è nell’anticamera della fine. Anche in questo ereditiamo stagioni che hanno immiserito l’etica dell’impegno e tutti ne portiamo una quota di colpa. Tanto più dovremmo stupire quella parte del paese che mostra insofferenza verso di noi, che non crede a quello che diciamo perché lo percepisce al più come rumore di fondo. Se ancora ne abbiamo la forza facciamo del congresso del Pd l’antidoto, ridiamo senso alle parole e un briciolo di passione alle passioni”.