Thailandia, via al salvataggio dei 12 baby calciatori dalla grotta. Il primo è partito, tragitto di 11 ore – La Stampa
8 Luglio 2018Ogni giovane sarà scortato da una guida. L’allenatore sarà l’ultimo a uscire. Permane il timore per attacchi di panico. Ci sono le prime infezioni batteriche
alessandro ursicmae saiAlle ore 5 di questa mattina (ore 10 locali) sono iniziate le operazioni di salvataggio in Thailandia per tirare fuori dalla grotta i 12 baby calciatori e il loro allenatore. Aspettare ancora era improponibile. La temuta pioggia è arrivata, due ore di diluvio ieri sera sulla grotta Tham Luang. Era l’incubo dei soccorritori: la massa d’acqua dei monsoni che per una settimana hanno dato tregua, ma che ora sono pronti a vanificare i frenetici sforzi di evitare le immersioni ai 12 ragazzi molto provati ai 16 giorni dall’inizio di questa odissea. Il portavoce ufficiale delle operazioni, Narongsak Ossottanakorn, ha comunicato che al recupero partecipano 18 sub, 13 stranieri e 5 thailandesi.
Secondo le previsioni, il primo ragazzino dovrebbe essere recuperato stasera intorno alle 21.00, le 16.00 in Italia. I sub dovranno percorrere 1,7 chilometri, per un totale tra andata e ritorno richiederà 11 ore. Per questo le operazioni potrebbero durare 2 giorni e saranno dipendenti dalla condizioni del tempo.
I 12 ragazzi saranno divisi in un primo gruppo di quattro persone, seguiti da tre gruppi di tre. Poi verranno portati fuori comunque uno alla volta. Lo scrive il Bangkok Post, citando fonti tra i soccorritori e aggiungendo che l’allenatore della squadra di giovani calciatori sarà l’ultimo a uscire. Già nei giorni scorsi, i responsabili dei soccorsi avevano fatto capire che il recupero avrebbe dato precedenza ai ragazzi più pronti fisicamente e mentalmente. L’allenatore era stato segnalato come il più debole, anche perché per giorni aveva rinunciato alla sua parte di cibo, lasciandola ai suoi ragazzi.
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Cunicoli e fango
Per quei quattro chilometri di tortuoso percorso che aspetta i ragazzi, indeboliti da oltre due settimane da sepolti vivi, a un sub esperto servono cinque ore. Ci sono tratti dove l’acqua è stata in gran parte drenata e si può camminare, specie tra l’entrata della grotta e la prima base intermedia. Ma più si va in profondità, più quei cunicoli si stringono, si contorcono, salgono e scendono, obbligando chi ci passa a incunearsi in uno scoraggiante labirinto. In alcuni tratti, anche per decine di metri filati, non c’è scelta: serve immergersi e nuotare, a volte in pertugi – il più stretto è di 72 centimetri, il più basso di soli 38 – dove corpo e bombola di ossigeno non passano assieme. Il tutto in un’acqua putrida con zero visibilità, e in alcuni punti con l’impeto di un torrente.
Un’impresa che può essere fatale anche per i professionisti, come si è visto con la morte dell’ex Navy Seal thailandese. Figuriamoci i rischi per 13 miracolati che vengono da nove giorni senza cibo e sette mangiando barrette ricostituenti.
Lezioni di immersione
Le forze sono tornate solo parzialmente, e la vita nel ventre della montagna è debilitante: sono state segnalate le prime infezioni batteriche. Gli smunti “cinghialotti” – il nome della loro squadra di calcio – hanno iniziato a fare pratica di immersioni pochi giorni fa, e gran parte di loro non sa nuotare. Il pericolo di attacchi di panico in quei cunicoli angusti è reale.
Pompare all’esterno milioni di litri d’acqua al giorno è stato solo uno dei preparativi. Le centinaia di soccorritori che si sono alternati nella grotta, con l’effetto di far scendere l’ossigeno a livelli di guardia, hanno teso corde-guida da 8 millimetri e posizionato centinaia di luci, ma anche bombole di ossigeno per sostituire quelle esaurite. Per quegli 1,7 km di distanza dalla banchina fangosa dove il gruppo è bloccato alla «terza caverna», ossia la base di rifornimento più vicina, possono servire fino a tre bombole a testa per tre ore di traversata. E gli accompagnatori dei ragazzi dovranno caricare su di sé bombole anche per loro.
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Quanto durerà la fuga verso la salvezza, uno alla volta in alcuni tratti e forse in due verso la fine, è impossibile dirlo. I soccorritori parlano di tragitti di 11 ore. Ma sono da prevedere diverse soste intermedie, specie nelle tre caverne che fanno da pit-stop. I ragazzi devono anche essere nutriti e fatti riposare, gli occhi devono riabituarsi alla luce. Tanto che verranno completamente bendati prima di caricarli in ambulanza, una per ognuno, portarli dritti all’ospedale locale, e poi in elicottero a quello più grande di Chiang Rai.
Le scuse dell’allenatore
I video li hanno fatti vedere esausti ma sorridenti, e nelle lettere ai genitori sono stati pieni di premure: stiamo bene, non preoccupatevi. Ma la nostalgia di casa è struggente. A malapena stesi sul fango da due settimane, gli angoli dove urinare e defecare, pochi metri dove sgranchirsi le gambe, un umido che ti entra nelle ossa. A commuovere la Thailandia è anche la loro compostezza e genuinità, oltre al senso di squadra. Molti sono delle minoranze etniche di questa terra di confine con la Birmania, uno è apolide. Un altro mondo rispetto ai giovani dei centri commerciali di Bangkok.
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L’allenatore Ekkapong, per tutti «coach Ek», è la figura più tragica: è consumato dal senso di colpa per averli portati lì dentro poco prima di un acquazzone. È semi-depresso, e in una lettera ha chiesto scusa ai genitori. Gli hanno già risposto: siamo con te, tu pensa a prenderti cura dei nostri bambini. Sui social media c’è chi lo rimprovera per l’escursione folle, ma i più ammirano il suo spirito di sacrificio, anche perché ha rinunciato per giorni al cibo dandolo ai ragazzi. Orfano di entrambi i genitori, per la squadra «coach Ek» è come un secondo padre, e loro sono figli per lui. Per riportarli nel mondo manca un ultimo, proibitivo sforzo.