Federico Pizzarotti, sindaco di Parma, leader di Italia in Comune, il grande “dissidente” di questi anni, dice, in una lunga conversazione con l’HuffPost: “Dobbiamo stare pronti. Se salta tutto, e non lo escludo, l’orizzonte è un campo largo di centrosinistra, anche se certamente dipende dalle modalità con cui si affronta la discussione”. Pizzarotti non ha mai amato il ruolo di Cassandra, anche perché dal Movimento si è emancipato da tempo. E, a Parma, lo ha battuto, pressoché estinguendolo. Ne parla senza l’astio dello spretato nei confronti della sua fede originaria, ora che è impegnato nella costruzione di una lista per le Europee assieme a Più Europa. E comunque ora che si sta costruendo un ruolo nazionale. Però quel mondo lo conosce: “È difficile fare previsioni, anche perché la precedente l’ho sbagliata. Non avrei mai detto che si sarebbero alleati alla Lega. E, in questa fase, per i Cinque Stelle rimanere al potere è più importante di dare una linea. Però proprio non riesco a immaginare come troveranno 40 miliardi per la manovra”.
Siamo al dunque?
Beh, voglio vedere chi si prenderà la colpa di fare una manovra alla Monti. A un certo punto il giochetto di scaricare su Tria finisce e arriva il momento delle scelte. C’è un motivo se ormai tutti mettono in conto il voto a breve, di qui a un anno.
Ho capito, lei ha questa sensazione, che è assai diffusa, anche se non immagina le modalità. Proviamo a capire quello che sta accadendo nei Cinque Stelle.
Semplice: hanno perso l’identità. Quella che avevano prima delineata da Casaleggio, era chiara. Poteva piacere o non piacere, ma era una identità fondata su principi e regole. Adesso c’è la confusione. Lo vede anche lei, sostengono una cosa e il contrario a distanza di pochi giorni: dicono “non cambieremo i due mandati” poi li cambiano per le comunali, i gilet gialli e la Merkel, poi il giallo di Di Battista, che non si candida perché non condivide la linea ma dice che va in India, e così via. Siamo alla schizofrenia per inseguire il consenso, ma la perdita di identità accompagna la perdita di consenso.
Una previsione la deve fare.
Di Maio farà la fine di Renzi.
Cioè?
Quando perderà il suo potere rispetto alle nomine e alle liste, verrà affossato dai suoi compagni di partito. Non aspettano altro. L’unico potere resterà quello di Casaleggio, perché lì dentro chi detiene la piattaforma detiene il potere. E questo determinerà l’esplosione del Movimento.
Capisco, ma se, come dice lei, si deve stare pronti con un “campo largo”, perché lo ha stretto alle Europee alleandosi solo con Più Europa? Questa divisione del fronte, chiamiamolo “democratico” avvantaggia i sovranisti.
Il problema delle Europee è la legge elettorale. Avere un campo unico per i partiti anche più piccoli significa non eleggere nessuno. Con una lista unica i grandi partiti prendono tutto.
Diciamo che è un fatto “tecnico” prima ancora che politico.
Se avremo il risultato sperato alle prossime politiche sarà diverso anche come potere contrattuale.
Posso dirle? Viva la sincerità! La politica è anche questa. Ci si conta, poi si tratta. Quale è il risultato sperato?
Almeno il 4 per cento, che consenta di superare lo sbarramento.
Però, mi faccia capire, perché alla fine presenterà una lista solo con la Bonino? Come è andata coi Verdi?
Noi abbiamo fatto da collante coi Verdi e con Più Europa, nel senso che abbiamo parlato con tutti, ma per un fatto di veti incrociati abbiamo dovuto scegliere, anche se continuo a pensare che l’unione avrebbe fatto la forza. Però vorrei sottolineare il valore politico di questa lista. Non è banale dire Più Europa. È un concetto assai più dinamico sia del manifesto di Calenda, sia del simbolo Siamo Europei, che sono concetti statici. Non basta dire “Siamo Europei”, l’Europa la vogliamo cambiare e migliorare.
Bonelli, dei Verdi, dice: voleva l’accordo, poi è scomparso a telefono. Non ci si comporta così.
Loro non ci sono rimasti bene, però. Dovendo scegliere, e non è stato dovuto a noi ma ai veti incrociati, abbiamo scelto a grande maggioranza di andare con la Bonino. Anche alle ultime politiche è andata così, abbiamo condiviso tante battaglie legate ai diritti e ai migranti.
Però l’universo radicale è il più lontano il più possibile da quello rispetto al quale viene: liberismo spinto, industrialismo, poco sociale.
Questa è una critica un po’ semplicistica. Se legge il programma delle scorse politiche può trovare punti condivisibili che non sono il liberismo sfrenato. Anche a livello locale abbiamo fatto battaglie sulla qualità del servizio, non su chi lo detiene, sia esso pubblico o privato. Sono dei punti che ci uniscono rispetto a quello che ci dividono. Il vero mix positivo è che loro lavorano con logiche europee, noi siamo partiti dai territori. Mettere insieme questi due mondi, strategicità e concretezza, un ottimo mix.
Alcuni del vostro movimento come Pascucci, sindaco di Cerveteri sono di sinistra.
Sì, ama sempre definirsi di sinistra.
E lei, come si definirebbe?
Le definizioni sono sempre difficili. Direi: progressista, di centrosinistra.
Ha cambiato idea rispetto ai tempi in cui stava nel Movimento che teorizzava la fine di destra e sinistra?
Io credo che questa distinzione non è venuto a mancare in termini di valori e di politiche. Destra e sinistra esistono, basti pensare alla grande questione dell’accoglienza. Però al millennial “destra e sinistra” non dicono niente.
E quindi?
Perché Salvini ha presa? Non dice mai che è di destra. Dà risposte di destra su legalità, tassazione, sicurezza, e le nuove generazioni apprezzano la soluzione. Noi nella nostra carta dei valori non lo abbiamo scritto ciò che è destra e ciò che sinistra, ma abbiamo messo il superamento delle nomenklature.
Mi permetta una obiezione. Credo esattamente l’opposto. Cioè che la spoliticizzazione del conflitto, e della distinzione destra-sinistra, in nome della narrazione incentrata su popolo ed élite sia il terreno perfetto per irrobustire il populismo. E dunque la nuova destra.
Non sono d’accordo. Loro vincono perché dicono cose chiare, semplici, lineari. Io mi riconosco nel campo del centrosinistra tradizionale, ma la gente si è rotta del “noi siamo bravi e loro cattivi”. Tutto il tema della sicurezza, la sinistra non l’ha affrontato ma ha detto “noi siamo opposti alla destra”.
Non insisto. Le chiedo un giudizio sul “nuovo corso” di Zingaretti.
I primi passi volenterosi, ha cercato di dare dei messaggi, non solo la sede, il confronto con Landini, l’apertura a chi è uscito, un recupero di umiltà, sta riprendendo in mano una sinistra più sinistra. Non è sbagliato, ma vediamo come va a finire. Il Pd è nato da una fusione a freddo e non ha ancora sciolto il problema dell’identità. Quando con Renzi si è posto al centro è uscita la sinistra, ora Zingaretti farà l’opposto e vediamo che fa il centro, cioè Renzi.
La vede come una questione irrisolta?
Decisamente. Lui nega ma è lì che aspettava di uscire se i sondaggi gli avessero dato i numeri giusti. Ora scommette sul fallimento del Pd alle Europee.
E lei, cosa chiede a Zingaretti?
Più coraggio, rispetto a questi anni. Ad esempio si doveva avere coraggio di fare lo ius soli, identificando da che parte si stava. Nella storia recente del Pd c’è opportunismo e mancanza di coraggio.
Torniamo alla lista. Lei si candiderà?
Le candidature sono un tema che affronteremo a breve. Stiamo pensando al modo migliore per contrastare Salvini che sarà capolista in tutte le circoscrizioni.
E si candiderà in Emilia Romagna?
Non puoi fare tutte le candidature del mondo. E non ho smania per andare da nessuna parte, sono sindaco di Parma. Sono comunque a servizio del progetto che stiamo costruendo.
Dipende da come vanno le europee?
È evidente che le Europee determineranno scelte rispetto alle regionali. Oggi tutti danno per scontato tutto, ma in Emilia si va a votare in 5 capoluoghi di provincia, e io sono sicuro che i sondaggi saranno smentiti.
Alle amministrative va col centrosinistra ovunque?
Scelgono i territori, in alcuni casi in coalizione, in altri andiamo da soli. dipende. Un errore che fa il Pd è che spesso non valuta il risultato degli uscenti. Non basta dire che c’è il sindaco uscente e va sostenuto anche se l’azione non è stata apprezzata. L’atteggiamento deve essere “sediamoci e valutiamo insieme la coalizione”, così si fa tra alleati altrimenti consideri gli altri dei sudditi.
L’Emilia sarà la battaglia campale contro i sovranisti. È contrario a una forma di interlocuzione con i Cinque Stelle? Bugani dice “dobbiamo aprirci alle alleanze”. Bersani lo ripete da tempo.
È vero. È la battaglia campale. Perché qui non si è mai perso neanche quando c’era Berlusconi e l’Italia era tutta blu. Ora tutte le regioni sono in grande crisi. Io non credo all’alleanza con i Cinque Stelle.
Perché?
È un discorso che fanno in modo strumentale perché hanno capito che non vincono mai. Ma il problema non è se si alleano o no, il problema è che non riescono a fare le liste. Vedrà che in molte realtà non ci saranno candidati, molti di loro stanno abbandonando il territorio. A Parma, ad esempio, non ci sono più i meet up, ne sono rimasti in quattro che litigano tra loro. E sa perché? Perché molti vogliono candidature sicure e non si mettono in gioco. È finito il tema del territorialismo del Movimento.
Torniamo all’inizio. La crisi è irreversibile.
Mi pare piuttosto evidente.