Salvini vuole chiudere la rotta tunisina. Ma Tunisi chiede aiuti concreti | L’HuffPost
10 Luglio 2019 0 Di Luna RossaLa Tunisia è diventato non più solo un Paese di transito ma il punto di partenza per giovani tunisini senza lavoro e senza futuro che affrontano il viaggio verso l’Europa
L’incontenibile Matteo. Evidentemente il vicepremier leghista ha un problema irrisolto con la Tunisia. Dopo aver definito, nella sua prima visita all’hotspot di Pozzallo come ministro dell’Interno, il Paese nordafricano “esportatore di galeotti”, provocando una mezza crisi diplomatica, (era il 4 giugno 2018), oggi Salvini fa il bis. “Questa mattina ho scritto al ministro dell’Interno tunisino. In Tunisia non c’è fame o peste bubbonica e quindi non si capisce perché le autorità non possono controllare le loro coste”, sentenzia al Cara di Mineo. Tunisi, l’ultimo “attracco” di Matteo Salvini. Rafforzare con altre 10 motovedette la Guardia costiera libica non basta al vicepremier leghista e titolare del Viminale per chiudere con soddisfazione il dossier migranti. Perché, nel frattempo, i trafficanti di esseri umani hanno diversificato le rotte del Mediterraneo e la Tunisia è diventato non più solo un Paese di transito, ma il punto di partenza per giovani tunisini senza lavoro e senza futuro per affrontare il viaggio verso l’Europa, una Europa che s’identifica soprattutto con l’Italia e la Spagna.
Il plenipotenziario per il Mediterraneo, ruolo che si è autoconferito Salvini, oggi ha preso carta e penna per scrivere al ministro dell’Interno tunisino Hichem Fourati.
“La complessa situazione del quadrante libico… continua a creare una forte apprensione anche per i risvolti sulle dinamiche dei flussi migratori. Dinamiche che, pur confermando un complesso trend in diminuzione degli arrivi dalle rotte del Mediterraneo, hanno fatto tuttavia registrare una maggiore concentrazione dei flussi lungo gli itinerari in partenza dalla Tunisia. In più occasioni ho avuto modo di attestare l’impegno tunisino nel bloccare la partenza di molti immigrati irregolari, nel contrastare i trafficanti e nell’adottare iniziative antiterrorismo. L’attuale scenario ci impone, tuttavia, di accrescere ulteriormente gli sforzi soprattutto sul fronte degli interventi finalizzati a prevenire e scoraggiare le partenze degli immigrati irregolari, implementando anche le attività info-investigative, da affiancare ad un potenziamento operativo nelle aree più sensibili… Dobbiamo imprimere una accelerazione al modello di cooperazione già in atto che, anche con il sostegno europeo, rafforzi le capacità di sorveglianza marittima, attraverso il definitivo sviluppo di un sistema integrato basato su postazioni radar e strutture operative. Anche sul fronte del rimpatrio, vero modello di operatività, possiamo conseguire ancora più elevati livelli di efficacia attraverso rimodulazioni improntate ad una maggiore flessibilità con il ricorso a navi di linea… Non mancherà il sostegno italiano sul fronte della rimessa in efficienza delle motovedette destinate alle Autorità tunisine”.
Ciò che al vicepremier sembra sfuggire è la situazione in cui versa la Tunisia, alle prese con una drammatica crisi economica e sociale. Del Forum tunisino per i diritti economici e sociali (Ftdes), una Ong che aiuta i migranti, Massoud Romdhani non è solo il presidente ma l’anima: “I trafficanti di esseri umani stanno potenziando la rotta tunisina – dice Romdhani all’HuffPost – facendo leva su una manovalanza reclutata tra giovani senza lavoro né futuro. Dall’Europa avremo bisogno di un forte sostegno economico e non, come invece sta avvenendo, di pressioni per fare anche della Tunisia, come sta accadendo per la Libia, un enorme centro di detenzione per questi disperati”.
Secondo le stime dell’Oim, nel 2018 sono arrivate in Europa 36.940 persone, di cui 32.080 via mare, mentre 660 sono morte nel mar Mediterraneo. Nel 2017, le persone arrivate erano state 186.768, e i morti in mare 3.116, mentre l’anno prima rispettivamente 390.432 e 5.143. Arrivano nelle aree di Porto Empedocle, Sciacca, Licata, nell’Agrigentino, su barconi di legno di 10-12 metri, che spesso vengono anche abbandonati. In alcuni casi gli occupanti delle imbarcazioni riescono a scendere e far perdere le loro tracce, in altri gli uomini della Guardia di Finanza o della Capitaneria di porto li hanno individuati. Più a ovest, verso Trapani o Mazara, gli immigrati sbarcano, invece, da gommoni che portano dalle 20 alle 40 persone alla volta. In alcuni casi, assieme agli esseri umani, sono stati recuperati anche carichi di sigarette o stupefacenti. È la rotta tunisina, che attraversa il confine tra Tunisia e Libia.
A confermarlo è Reem Bouarrouj, responsabile immigrazione di Ftdes: “Tra gli immigrati in Libia sta iniziando a circolare la voce. Sanno che la Guardia Costiera e le milizie impediscono le partenze dalla costa e così puntano alla Tunisia”. Annota Paolo Howard in un documentato report su Affari Italiani: “Considerare la rotta tunisina quale mera alternativa a quella libica appare riduttivo. Sono i migranti tunisini a imbarcarsi dai porti di Sfax e Kerkenna, raramente gli stranieri (secondo il Forum tunisino dei diritti economici e sociali, tra il 2011 e il 2016 il 74,6% delle persone che hanno lasciato il Paese sono cittadini tunisini). Sebbene negli ultimi mesi il flusso di migranti sub sahariani lungo il confine tunisino-libico sia cresciuto (migranti che vengono in Tunisia per trovare lavoro e raccogliere i soldi per pagare i passeur), ad oggi i protagonisti della rotta restano i giovani tunisini che, stretti nella morsa di una economia impoverita e di un clima politico asfissiante, fuggono a bordo dei social media prima ancora che delle imbarcazioni di fortuna”. A fuggire sono giovani senza futuro, che non rientrano nella categoria “galeotti”, un tempo scriteriatamente evocata dal ministro Salvini. Sono diversi i numeri che indicano la fragilità economica della Tunisia, costringendo la popolazione a condizioni di vita non più sostenibili.
A esasperare inoltre gli animi sono le nuove politiche finanziarie messe in campo nel 2018, e tuttora in vigore, che prevedono un pesante aumento di prezzi, dettato dall’aumento dell’Iva, e l’introduzione di nuove tasse. Nell’ultimo anno il Pil è cresciuto meno dell′1 per cento, la disoccupazione è schizzata invece al 15 per cento. I disoccupati sono oltre 600 mila, di cui più di un terzo in possesso di diploma di istruzione superiore. Le conquiste democratiche, avviate dopo la fuga dell’ex presidente Zine El Abidine Ben Ali, il 14 gennaio 2011, non sono state accompagnate da una crescita economica in cui tutti speravano. Secondo l’ex ministro dell’Economia, Houcine Dimassi, “tutti i numeri indicano un netto peggioramento della situazione economica rispetto al 2010-2011”, quando Tunisi registrava un aumento del Pil tra il 4 e il 5 per cento. Un malessere che si trasforma in rabbia, una miscela esplosiva su cui fa leva il terrorismo jihadista per reclutare forze giovani. “L’Isis fa proseliti in chi non ha lavoro e non riesce a immaginare il proprio futuro. Il miglioramento delle condizioni materiali di vita, il lavoro, l’istruzione, sono parte fondamentale della lotta al terrorismo, non meno dell’aspetto militare o di intelligence – annota Houcine Abassi, premio Nobel per la Pace nel 2015 come membro del Quartetto per il dialogo – È per questo che ritengo fondamentale rilanciare la cooperazione fra l’Europa e i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, dando concretezza all’idea di un ‘Piano Marshall’. E all’amica Italia dico: se cade la Tunisia, non muore solo una speranza di cambiamento, ma il Mediterraneo sarà ancora più destabilizzato e l’emergenza migranti si farà ancor più drammatica”.
Ufficialmente, non c’è stata una risposta da parte di Tunisi alla missiva di Salvini. Ma fuori dall’ufficialità, il messaggio che da Tunisi è partito per l’Italia, destinazione Palazzo Chigi, Farnesina e Viminale, può essere sintetizzato così: non chiediamo motovedette, ma un progetto a tutto campo che incida sulle cause strutturali, crisi economica in primis, che portano giovani tunisini senza futuro ad essere attratti dai salari offerti dai trafficanti di esseri umani che spesso agiscono in combutta con i miliziani dello Stato islamico.
“Sia chiaro – dice una fonte governativa tunisina all’HuffPost – non stiamo ‘ricattando’ l’Italia, che era e resta un partner fondamentale per noi, del quale apprezziamo l’impegno di imprenditori pubblici e privati e di un diplomatico sensibile e di grande spessore qual è l’ambasciatore Fanara, ciò che è nostra intenzione è di rafforzare questa cooperazione, nell’interesse reciproco e per la sicurezza nel Mediterraneo”. Discutere a tutto campo, spiegano a Tunisi, significa anche rendersi conto, da parte italiana ed europea, che la Tunisia, come peraltro la Libia, da Paese di transito si sta trasformando anche in Paese d’origine per ciò che concerne il fenomeno migratorio. “Aiutare la Tunisia non è un atto altruistico, ma un atto razionale e financo egoistico – ha affermato di recente il primo ministro tunisino Youssef Chahed -. Lo sviluppo della Tunisia è la condizione per mantenere la società occidentale. La Tunisia è infatti uno dei punti chiave per lo sviluppo delle enormi potenzialità africane”.
La conclusione di Attali è un chiaro messaggio all’Italia, all’Europa, all’Occidente: “L’esperienza tunisina, se riuscirà, sarà un segno di speranza per il mondo intero, se fallirà sarà invece un segnale di disastro”. Un disastro annunciato.
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